Santina Albicini è una poetessa raffinata, un esempio di come nella stessa pubblicazione possano convivere aspetti leggeri, momenti di vita spensierati, come il racconto dei giorni lieti di una vacanza in famiglia, accanto a riflessioni più impegnative, come quelle sul senso della vita, sulla malattia, sulla morte, sulla speranza. Ne parliamo con l’autrice di Resta solo l’amore (Edizioni Terra marique), in questa intervista a cura di Roberta Rossi.
Dalla prosa alla poesia: con quale linguaggio ti senti più a tuo agio?
Qualche anno fa, sempre per Edizioni Terra marique, avevo pubblicato un libro in prosa, Il coraggio di avere paura, di cui sta per uscire la prima ristampa.
È una sorta di diario “rimaneggiato”, nato dalla cronaca che avevo scritto giorno per giorno per raccontare un periodo molto complicato della mia vita.
Avevo accumulato talmente tanti appunti da rendersi necessario un editing abbastanza intenso: dal “taglia e cuci” è così nata una pubblicazione alla quale tengo molto e che ha rappresentato il mio primo incontro con il pubblico di lettori.
Tante presentazioni, tante copie autografate e dedicate, prima che la pandemia impedisse questo tipo di socialità.
Nel frattempo ho continuato a scrivere, non testi diaristici né narrativi, ma poesie: è la forma di scrittura con la quale mi trovo più a mio agio, perché la trovo una modalità di espressione pura, genuina, che mi viene naturale esprimere.
La narrazione in prosa la considero invece molto più distante dalle mie capacità: non ho una formazione classica, i miei studi tecnici mi hanno condotta altrove, non mi sentirei in grado di cimentarmi in imprese romanzesche, mi mancano le fondamenta e la pratica, che, devo essere sincera, mi stancherebbe non poco.
La poesia invece non è sinonimo di fatica, tutt’altro. Magari sto facendo altro, una qualsiasi attività domestica, e all’improvviso arriva l’ispirazione.
Se sto stendendo o stirando, abbandono tutto e prendo nota sul mio taccuino, prima che l’ispirazione svanisca.
Il mio rammarico è di aver perso molti appunti, ma soprattutto un gran numero di poesie, svanite a causa di un guasto del computer. Mi mangio le mani al pensiero di versi scritti sul cellulare, cancellati prima di averli trascritti e messi al sicuro.
L’ispirazione, in ogni caso, non ti manca.
Purtroppo no, non mi manca. Lo dico con rammarico perché il mondo è pieno di cose brutte, che sono poi quelle di cui scrivo.
Invece le cose belle le vivo, per questo motivo non mi interessa più di tanto raccontarle, se non per fugaci immagini, che non voglio dimenticare.
La guerra, la violenza contro le donne, i soprusi: sono questi i temi che tendo a trattare, quelli che mi stanno più a cuore e che, più di altri, mi fanno soffrire.
Vivo la poesia con molta intensità: esprimo in versi ciò che, in un determinato momento, l’anima vive, oppure racconto un episodio che mi ha particolarmente colpita.
Sono fatti tristi, sui quali trovo sia necessario fermarsi a riflettere, per capire dove questo mondo stia andando.
La mia riflessione è fatta di poche parole, che insieme creano versi in cui ci sono l’essenza del mio pensiero, ma anche le mie angosce e speranze.
Non hai timore di esporti troppo, ad esempio quando pubblichi una tua poesia sui social?
Quando ho iniziato a scrivere, provavo un certo timore, direi un senso di vergogna: avevo paura che le mie poesie non piacessero, che non venissero apprezzate, magari perché troppo semplici.
Invece poi ho scoperto che sono la loro semplicità e immediatezza ciò che i lettori apprezzano di più. L’ho capito dai commenti che lasciano su Facebook, oppure durante i loro interventi in occasione delle presentazioni, che finalmente abbiamo ripreso a fare.
Sento di riuscire a trovare le parole giuste per raggiungere il lettore, per entrare in connessione rispetto a un tema che mi sta a cuore, per comunicargli ciò che provo.
I lettori si rivedono nella semplicità dei miei versi e nella freschezza delle immagini che ne derivano: ciò mi riempie di orgoglio.
Ulteriore conferma arriva dai risultati ottenuti ai vari concorsi letterari ai quali ho partecipato.
Qual è il tuo momento ideale per comporre poesie?
La notte, di sicuro.
Durante il giorno ci sono troppe distrazioni e interruzioni, invece la notte è sinonimo di pace, tranquillità, silenzio: i pensieri sono liberi di fluire e la mente, spesso stanca, non è in grado né di indirizzarli né tantomento di bloccarli. Così escono liberi e io li trascrivo.
Poi recupero gli appunti della giornata, quelli fissati sul bloc-notes o scritti sul cellulare, sperando di non averli cancellati.
Dall’incontro tra gli appunti e i pensieri che si muovono in libertà, nascono le mie poesie.
Nella maggior parte dei casi, vanno bene così come sono: è raro che le corregga o che le modifichi, penso non serva.
Quali poeti preferisci leggere?
In realtà, a parte i grandi poeti classici, leggo più che altro libri di narrativa, soprattutto storici.
Credo di aver letto tutto o quasi sia stato scritto sulla seconda guerra mondiale, nella speranza di trovare qualcuno che, in guerra, avesse incontrato mio padre, che aveva combattuto in Albania e in Grecia.